Operazioni sull’estero, scatta l’obbligo per i commercialisti

Sulla carta la norma è in vigore dallo scorso 26 agosto, ma è entrata nel vivo solo all’inizio di quest’anno: contribuenti e intermediari italiani sono chiamati a comunicare per la prima volta le informazioni sulle operazioni “transfrontaliere” che potenzialmente sono un modo per eludere le normative fiscali e – concretamente – ridurre le imposte. Stiamo parlando della direttiva europea denominata “DAC6”, concepita nell’ambito dello sforzo internazionale per proteggere le basi imponibili dei vari Paesi, contrastare cioè quei fenomeni di pianificazione fiscale “aggressiva” che punta essenzialmente a sfruttare al massimo le diverse regole in vigore e trasferire gli utili o i patrimoni là dove possono essere tassati meno.

RIDUZIONE D’IMPOSTA

Non è il primo strumento messo in campo a livello europeo con questa finalità. La novità stavolta è nel ruolo di rilievo che spetta agli intermediari. Avvocati, commercialisti e altri consulenti fiscali, così come le banche, avranno quindi l’obbligo a raccogliere informazioni sull’attività dei propri clienti e a trasmetterle alle diverse amministrazioni finanziarie, in vista dello scambio automatico di informazioni tra le autorità nazionali. In Italia l’Agenzia delle Entrate ha fornito i propri chiarimenti con una circolare dello scorso febbraio, spiegando tra l’altro quali sono qual è il concetto di “riduzione d’imposta” che rende rilevante un meccanismo transfrontaliero: si tratta del «vantaggio di natura fiscale che ci si può attendere come logica conseguenza dei fatti e delle circostanze del caso, ponendo a confronto ipoteticamente gli effetti fiscali in presenza del meccanismo con gli effetti che si verificherebbero in sua assenza». Dunque una riduzione d’imposta anche potenziale. «La normativa DAC6 è sicuramente un passo importante verso l’equità e verso una concorrenza non più basata sulla variabile fiscale selettiva, quindi non più sleale – commenta Paolo Besio, Partner e Head of International Tax di Bernoni Grant Thornton – ci sono tuttavia dei limiti che vanno evidenziati». Il primo nodo è il rischio di una moltiplicazione degli adempimenti, perché «alcune operazioni sono soggette all’obbligo di comunicazione nonostante siano state oggetto di esame e di accordo con l’autorità competente e già scambiate, a livello comunitario, ai sensi di altra normativa». Poi c’è il tema del segreto professionale, disciplinato diversamente nei vari Stati, cosa che «può generare disparità di trattamento». Analogamente si avverte l’esigenza di un’interpretazione a livello comunitario. «Considerato che l’ambito di applicazione può essere estremamente ampio – argomenta Besio – la conseguenza è che le singole amministrazioni hanno fornito, con riferimento alla stessa tematica, interpretazioni difformi». A questo si aggiunge il fatto che «alcuni Stati hanno pubblicato le proprie interpretazioni in ritardo e in misura parziale, contribuendo all’incertezza». Per questo, secondo Besio, si pone un’esigenza di revisione e coordinamento delle varie normative. Anche perché «sembra molto diverso l’approccio di intermediari e di contribuenti: in alcuni Stati la comunicazione è vista come ammissione di colpevolezza e, quindi, da limitare al massimo, in altri c’è molta più disponibilità». 

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