Persino Paolo Gentiloni si è stufato. All’ennesima domanda sull’Italia «fanalino di coda» della crescita Europea, ha messo da parte il suo aplomb nobiliare e ha risposto che è venuto il tempo di «archiviare» questa immagine.
Che forse, ha aggiunto, non è stata mai del tutto vera. Per superare la litania degli ultimi della classe, assunta per anni a lagna nazionale, basta alzare un poco lo sguardo. A partire magari da quello che sta accadendo al “grande fardello” del debito pubblico. A marzo il Tesoro ha messo sul mercato un Btp legato all’inflazione europea e destinato agli investitori istituzionali. L’offerta era di 5 miliardi, sono arrivate richieste per 41 miliardi. Un record per le emissioni di questo tipo nel Vecchio Continente. E oltre il 70 per cento della domanda è arrivata da fondi esteri. Una rondine certo non fa primavera. Ma a gennaio, sempre per un’asta di due Btp, era arrivata una domanda di 155 miliardi di euro. Cose mai viste, e difficili da immaginare solo un anno fa, quando c’era il timore che la fine degli acquisti di debito pubblico da parte della Banca centrale europea potesse mettere sotto pressione i collocamenti dei titoli e lo spread italiano. Nulla di tutto questo è successo. Anzi. Gli investitori esteri sono tornati. In un anno la loro quota del debito è salita al 27,6 per cento, 51 miliardi in più. Ad attrarli, oltre ai buoni rendimenti che oggi offrono i Btp, è stato anche il ritorno di una partecipazione in massa dei risparmiatori italiani ai collocamenti a loro riservati dal Tesoro.
I NUMERI
L’ultimo Btp Valore, un titolo della durata di sei anni con tassi crescenti dopo tre anni e cedole pagate ogni tre mesi, ha raccolto più di 18 miliardi di euro. Sommate alle tre precedenti emissioni, il totale dei Btp Valore in circolazione ha superato i 50 miliardi di euro. Le famiglie italiane, secondo uno studio della Fabi, hanno fermi sui loro conti correnti oltre 1.500 miliardi di euro. Somme remunerate poco o niente, che il governo ha capito di poter “mobilitare” a favore dei Btp attraverso offerte “ad hoc” come i Btp Valore e i Btp Italia. Con un doppio vantaggio: si stabilizza il debito e si mettono risorse (raccolte dalle tasse va ricordato), direttamente nelle tasche dei contribuenti. Una sorta di “restituzione”. La strategia sta funzionando. In dieci mesi gli italiani hanno aumentato la quota di debito nei loro portafogli per oltre 120 miliardi di euro e hanno portato la loro quota di Btp totale al 13,4%. L’Italia è percepita come meno rischiosa. Lo spread è ai minimi di due anni. In alcuni frangenti è sceso fino a 120 punti sul Bund tedesco. E secondo qualcuno potrebbe calare ancora fino a cento punti base, pareggiando «l’effetto Draghi». Certo, c’è lo scudo Tpi della Bce pronto a scattare a protezione del debito. Ma non è solo questo. Per Maurizio Mazziero, di Mazziero Research, c’è una «finestra di opportunità massima» in questo momento per il debito italiano. L’Italia offre rendimenti alti e l’attesa è che la Bce tagli il costo del denaro e i tassi calino.
«Se i tassi scendono», spiega, «c’è un doppio vantaggio a sottoscrivere titoli che offrono buoni rendimenti: si incassano cedole alte quando il costo del denaro diventa più basso, e si ottiene un guadagno in conto capitale perché i titoli acquistati avranno un valore di mercato maggiore. I buoni rendimenti del debito italiano e la percezione che tutto va bene», dice Mazziero, «attira gli investitori». Che non ci siano grandi tensioni lo dimostra soprattutto l’andamento del differenziale di rendimento tra i titoli italiani e quelli tedeschi. Lo spread, si legge in un report firmato da Mauro Valle di Generali Investments, gode di alcuni fattori di supporto: un outlook stabile da parte delle agenzie di rating, una crescita migliore rispetto alla media dell’euro (e va notato che l’economia italiana non sta soffrendo della debolezza della situazione tedesca), i tassi più bassi che limiteranno la spesa futura per interessi. Michele Morra di Moneyfarm, società di consulenza indipendente, ha notato come, tra le altre cose, «la discesa dello spread stia avvenendo in un contesto di politica monetaria restrittiva e di crescita economica timida». Ma davvero la crescita italiana può essere definita “timida”? «In realtà stiamo assistendo a una sorta di nuovo miracolo italiano». Chi parla è Lucio Poma, capo economista di Nomisma, il centro studi fondato da Romano Prodi. «Lo scorso anno», spiega Poma, «la crescita del Paese ha sorpreso tutti ed è arrivata allo 0,9 per cento. Un dato che segue il 3,7 per cento del 2022 e l’8,3 per cento del 2021. Siamo tra le economie che hanno performato meglio al mondo». L’Italia è un Paese che negli ultimi anni si è fortemente rinnovato e oggi è innovativo. «La Ducati cinque anni fa produceva 26mila moto, ora ne produce 60mila, la Lamborghini in 10 anni ha raddoppiato il fatturato da 200 milioni a 2 miliardi, abbiamo un’industria farmaceutica rappresentata da eccellenze come Dompé, Alfa Sigma, Menarini, che combattono contro colossi come Roche e Novartis ma che riescono ad essere leader in diverse nicchie», prosegue Poma. Il Paese, insomma, industrialmente parlando è vivo e vegeto. E sta in salute, visto che continua a crescere nonostante la Germania, il principale mercato di esportazione, sia in recessione. «Tuttavia proprio una mancata ripartenza della Germania», prosegue Poma, «è uno dei tre fattori di rischio che possono frenare l’economia italiana». Il secondo è il mercato del lavoro. Con un paradosso. Il Paese è in piena occupazione, le imprese ora fanno fatica a trovare manodopera, e non più solo quella specializzata. Senza lavoratori c’è il rischio che qualche impianto debba rallentare i ritmi. Il terzo fattore di rischio, secondo Poma, è una nuova crisi energetica. E quello che sta accadendo nel Mar Rosso ha già fatto accendere una spia. Comunque sia, anche quest’anno, grazie agli investimenti del Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, la crescita potrebbe battere le stime dei previsori. Nel prossimo Def, che sarà approvato tra qualche giorno, il Pil potrebbe essere rivisto al ribasso dall’1,2 all’1 per cento. Ma i veri conti, come è stato fino ad oggi, si potranno tirare solo tra qualche mese. Un altro economista iscritto al partito degli ottimisti è Marco Fortis, docente della Cattolica e consigliere economico di Palazzo Chigi ai tempi di Matteo Renzi. Da tempo descrive un quadro «nitido» della maggiore resilienza e del dinamismo dell’economia italiana rispetto ai principali Paesi del G7. Per Fortis, se si prende in considerazione l’ultimo trimestre del 2019, quello prima della pandemia, e lo si mette a confronto con l’ultimo trimestre del 2023, il Pil italiano è cresciuto del 4,3 per cento, contro l’1,8 per cento della Francia, l’1 per cento del Regno Unito e il misero 0,1 per cento della Germania. Sono quattro anni di fila, insomma, che l’Italia cresce più degli altri Paesi europei del G7. Con una differenza non da poco: tutti hanno “pompato” più debito nelle loro economie, ma hanno generato meno Pil. E nonostante questo, ha sostenuto Fortis, Paesi come il Portogallo hanno rating migliori dell’Italia. «A quando una promozione?», si è chiesto. Solo una provocazione. Per ora.
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