Grandi hotel in vendita, fondi stranieri scatenati. L'inglese Reuben Brothers si aggiudica il Baglioni di Venezia

Potrebbe aprire una strada, ma questo si vedrà più avanti. Di certo, al momento, c’è che l’operazione da cento milioni di euro con cui i miliardari inglesi Reuben Brothers hanno messo le mani sull’hotel Luna Baglioni di Venezia è la prima ad essere venuta allo scoperto. Ma non è l’unica: altri accordi corrono sotto coperta nelle calli e nei campielli della città d’acqua, messa in croce prima dai 187 centimetri di marea del 12 novembre 2019 e poi dal coronavirus, arrivato a Venezia quando la città, con il Carnevale, stava rialzando la testa dopo la seconda Aqua Granda di sempre. «La situazione di inoperatività degli alberghi dal novembre 2019 ad oggi ha fatto sì che molte strutture sottopratimonializzate abbiano avuto bisogno di una mano economica – spiega Claudio Scarpa, direttore dell’Ava, l’associazione che raccoglie gli alberghi veneziani, compresi i grandi nomi dell’hotellerie lagunare – L’operazione del Luna Baglioni è stata complessa, condotta sulla piazza economica di Londra, ma è chiaro che in città ci sono alberghi in vendita: dai tre stelle fino a ora a conduzione familiare, per arrivare a nomi importanti». A conferma di come una delle strade che Venezia potrà imboccare per ripartire una volta messa la pandemia alle spalle, è l’investimento in strutture destinate a cambiare anche nell’offerta ai clienti.

L’AFFARE

Novantatré camere, una terrazza affacciata sul bacino di San Marco e sull’isola di San Giorgio. Ma anche una galleria d’arte che innerva ogni angolo del Luna Baglioni, albergo che la leggenda vuole essere stato un rifugio per i cavalieri templari nel 1.118 e che vanta nel salone Marco Polo, dove oggi viene servita la prima colazione, un soffitto impreziosito da affreschi settecenteschi dipinti dagli allievi della scuola di Tiepolo. L’operazione tra la Baglioni Hotels&Resorts (con strutture a Venezia, Roma, Firenze, Punta Ala, Maldive e Londra) e la Reuben Brothers (leader nei settori del private equity, degli investimenti e dello sviluppo immobiliare) oltre alla vendita e al lease back dell’iconico hotel Luna Baglioni prevede una partnership strategica indirizzata alla crescita internazionale del brand Baglioni, fondato nel 1974 da Roberto Polito. L’acquisto del Luna Baglioni, struttura a due passi da Piazza San Marco e considerato l’hotel più antico della città d’acqua, è il secondo investimento dei fratelli Reuben a Venezia, dopo il recente acquisto de Il Palazzo Experimental, con vista sul Canale della Giudecca. Ma quanto accaduto al Luna Baglioni per il suo rilancio è replicabile in altre strutture di Venezia di grosso calibro finite nel mirino di investitori stranieri. La conferma arriva dallo stesso Scarpa: «C’è movimento in questa direzione. A trattare sono fondi di investimento stranieri, soprattutto austriaci e tedeschi, poi i francesi. Tutti hanno messo gli occhi su asset importanti del patrimonio immobiliare alberghiero veneziano da milioni di euro: è la diretta conseguenza di un’Europa economica che viaggia a due velocità con il Nord che acquista e il Sud che vende». Non ci sono invece investimenti concreti e reali da parte di imprenditori asiatici. E quindi le voci che vorrebbero gli alberghi veneziani da 2 o 3 stelle prede di speculatori cinesi non trovano fondamento. «Sul punto le nostre forze dell’ordine indagano con grande attenzione e per questo le ringraziamo – premette Scarpa – ma a Venezia non ci sono operazioni di massa in questa direzione. I cinesi arrivano, sì, e comprano, anche, ma soprattutto locali e ristoranti. Non hanno messo nelle mire gli hotel che per ora restano obiettivo di altri». Perché sull’ovvio rilancio di Venezia a pandemia finita stanno scommettendo anche imprenditori italiani già attivi, o meno, nel settore del turismo. «Non possono esserci dubbi sul fatto che prima o poi Venezia riprenderà ad attirare turisti – precisa il direttore di Ava – così la domanda di chi vuole fare investimenti a basso prezzo ma a lungo termine, e l’offerta di chi deve vendere in fretta per l’emergenza della crisi, si incontrano». Quale futuro? «Quando sono diventato direttore di Ava ho dovuto imparare il veneziano per parlare con la categoria. A chi mi succederà dirò: impara il tedesco», chiosa Scarpa.

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