Gentiloni: «In 9 mesi embargo totale Ue sul petrolio russo»​

Si è svolto ieri a Villa Miani nel cuore di Roma l’evento organizzato dalle testate del gruppo Caltagirone Editore “Nuovi scenari economici globali: le sfide da superare per l’Italia2030”. Ha aperto i lavori Paolo Gentiloni. Ecco la sintesi dell’intervista.

Giancarlo Giorgetti interviene nel webinar di MoltoEconomia "Nuovi scenari economici globali: le sfide da superare per l’#Italia2030"

Commissario Paolo Gentiloni, il concetto di voto unanime nel meccanismo decisionale europeo potrà essere superato come chiesto da più parti, non ultimo dal premier Mario Draghi?
«Non è facile modificare questa regola dell’unanimità visto che è inserita nei trattati. E per modificare i trattati serve, appunto, l’unanimità». 
Quasi un paradosso.
«Sicuramente una prospettiva non semplice. Tuttavia già oggi ci sono diverse forme che, nel gergo di Bruxelles, sono definite cooperazioni rafforzate e che ci consentono in molti campi di andare avanti con velocità differenti tra i paesi europei. Il processo decisionale nelle democrazie non è semplice, i percorsi decisionali complessi, ma teniamoceli stretti. La semplicità delle decisioni delle autocrazie sta portando a una guerra».
Si riteneva che interessi economici condivisi bastassero a garantire la stabilità. La guerra ucraina ha dimostrato che non è così. In che modo l’Unione europea può contribuire a ristabilire l’equilibrio perduto?
«La guerra ha probabilmente accelerato e portato all’attenzione una tendenza che era in corso da dieci o quindici anni».
Quale tendenza?
«A considerare la globalizzazione come una spinta a cercare le migliori condizioni economiche ovunque nel mondo. A prescindere da altre considerazioni, quali la sicurezza, il carattere strategico di alcune materie prime, la logistica e le catene di produzione. La guerra ha accelerato la messa in discussione di questa certezza». 
La globalizzazione è finita?
«Non credo che dobbiamo estremizzare. Sento parlare di passaggio da una globalizzazione alla ricerca di prezzi migliori a una globalizzazione solo tra paesi amici. Penso piuttosto che dobbiamo cercare una globalizzazione sicura, che garantisca alcune lavorazioni strategiche e alcune materie prime fondamentali. Ma senza mettere in discussione gli assetti globali, perché a perdere sarebbero soprattutto le economie come quella italiana proiettate verso l’export». 


Gli sfilacciamenti tra i Paesi europei sul petrolio russo cui stiamo assistendo, non mettono in crisi la capacità di agire dell’Ue e quindi, alla fine, la sua governance?
«Dopo la pandemia c’è una nuova crisi da affrontare. Nessuno avrebbe immaginato che due cigni neri si sarebbero materializzati in così breve tempo. Di fronte alla guerra tutti noi dobbiamo considerare delle decisioni preliminari. Abbiamo deciso di non partecipare direttamente al conflitto che è alle porte dell’Unione e della Nato. Abbiamo deciso di sostenere il Paese aggredito, e di sostenere i principi che questo Paese difende, con delle misure economiche. Intervenire militarmente sarebbe un errore dalle conseguenze incalcolabili. Ma dobbiamo sapere anche un’altra cosa».
Quale?
«Che se decidiamo di non rispondere alla guerra militarmente, ovviamente avremo un costo economico.Questo costo economico lo dobbiamo mettere in conto, misurando quanto le decisioni che prendiamo costeranno alla Russia e quanto a noi stessi. Le sanzioni decise finora dalla Commissione hanno perseguito questo equilibrio». 
Si arriverà alle sanzioni sul petrolio?
«Penso che troveremo un percorso comune per arrivarci nei prossimi mesi gradualmente. Non dobbiamo nasconderci che questa decisione avrà un impatto sulle nostre economie, ma l’impatto sull’economia russa sarà molto maggiore». 
Che significa gradualmente?
«La nostra proposta è arrivare a un embargo, a seconda dei diversi prodotti petroliferi, entro 9 mesi. Farlo in tempi più brevi potrebbe avere conseguenze sui prezzi internazionali del petrolio paradossalmente contraddittori con i nostri obiettivi». 
Le sanzioni stanno davvero avendo effetto su Mosca?
«Chi dice il contrario prende un abbaglio. La Banca centrale russa ha stimato per quest’anno una recessione del 9%. Certamente anche le nostre economie rallenteranno».
Qualche giorno fa Papa Francesco ha detto che Putin potrebbe aver reagito invadendo l’Ucraina perché la Nato ha “abbaiato”. Ma non può essere invece che lo abbia fatto per la ragione opposta, perché ha visto le istituzioni occidentali, a partire proprio dalla Nato, indebolite?
«Noi abbiamo vissuto l’illusione di quello che in Germania definiscono “il cambiamento attraverso il commercio”. L’illusione che rafforzare gli scambi economici con la Russia, e anche con la Cina, avrebbe portato a una evoluzione positiva. Dobbiamo riconoscere che, dopo 20 anni, questo percorso non ha dato gli esiti sperati. Contemporaneamente a Mosca è maturata la convinzione che il crollo dell’Unione sovietica avesse dato un colpo mortale al ruolo della Russia, e che quel ruolo in qualche modo andasse recuperato. L’invasione dell’Ucraina è un salto di qualità in questo percorso, ma è coerente con questo disegno di ampliamento dell’influenza russa. Dobbiamo essere grati al popolo ucraino per aver resistito e aver impedito che il concetto che la guerra decide sulla politica e sulla democrazia si riaffermasse in Europa. Questo è inaccettabile perché farebbe tornare agli orrori del 900». 
Per risolvere la crisi Ucraina si cerca il Mediatore, con la “M” maiuscola. È escluso che questo ruolo possa essere giocato dall’Unione europea?
«L’Unione europea è un fattore di stabilità. E credo possa esserlo anche di pace. Penso che per arrivare a un cessate il fuoco siano indispensabili gli interventi delle Nazioni unite o di altri mediatori. Chi possa gestire un negoziato oggi è difficile da prevedere. Credo che in futuro un ruolo possa averlo la Cina, che non ha alcun interesse a un peggioramento della situazione».

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