Le ultime due operazioni sono quelle che l’hanno portato alla ribalta anche in Italia, dove finora non era molto conosciuto. Gli oltre 3 miliardi messi sul piatto a sorpresa in pochi giorni all’inizio del mese di marzo per comprare prima Cedacri e poi Cerved – due aziende che si occupano di servizi informatici per le banche e di raccolta di dati sui bilanci delle imprese – hanno acceso i riflettori sulla fortuna costruita da Andrea Pignataro in poco più di vent’anni sul trattamento dei dati finanziari. Una merce, quest’ultima, sempre più preziosa. Ion – questo il nome della sua società, pronuncia aion, che non è un acronimo ma dicono derivi dal suffisso finale di parole molto care al suo fondatore come imagination, innovation, creation – è sicuramente nota agli addetti ai lavori. Gli scambi di azioni, obbligazioni e derivati in tutto il mondo infatti molto spesso passano dai suoi software e dalle sue piattaforme. Ma al di fuori di questo giro di specialisti, che però muovono milioni di titoli ogni giorno condizionando l’economia mondiale, le sue attività sono rimaste nell’ombra. Un basso profilo e una ossessione per la privacy – non si ricordano sue interviste e quasi nessuno che lo conosca è disposto a parlare di lui – che con la dimensione raggiunta oggi dal gruppo sarà sempre più difficile mantenere. Fra le poche cose note ci sono la passione per la vela, le vacanze alla Maddalena, l’aereo privato. E lo sfizio di un investimento immobiliare a Canouan, un’isola dei Caraibi che fa parte dello Stato di Saint Vincent e Grenadine piaciuta anche a Donald Trump, con la speranza di farla diventare un rifugio per miliardari.
IL PHD IN MATEMATICA
Nato a Bologna nel 1970, dopo una laurea in Economia presa nell’università della sua città, Pignataro negli anni Novanta vola a Londra. Prende un phd in matematica all’Imperial College e comincia a lavorare come trader alla Salomon Brothers, all’epoca una delle principali banche d’affari di Wall Street (pochi anni dopo sarà incorporata da Citigroup). Pignataro è considerato un genio dei numeri, anche all’università lo ricordano così. E ha una memoria di ferro. Si fa le ossa sui mercati obbligazionari e soprattutto su quello del debito sovrano italiano, gestito da Mts, una società che sarà fra le più innovative e rapide a passare ai computer. Qui arriva l’intuizione che farà la sua fortuna. Con l’esperienza di trader capisce che i mercati finanziari saranno sempre più dipendenti dall’informatica e dagli algoritmi e sempre meno dal tocco umano. «La digitalizzazione è il fattore chiave di cambiamento dell’economia e sarà all’origine delle grandi trasformazioni industriali dei prossimi decenni», sostiene. Prima di fondare il suo gruppo lavora per un hedge fund, Endeavour Capital Management, creato con altri manager da uno spin off di Salomon Brothers alla fine degli anni Novanta. In quel periodo la sua attività si incrocia una prima volta con List, azienda di software di Pisa creata da Enrico Dameri. Poi le strade si separeranno, ma è dalle attività messe in piedi in collaborazione con gli sviluppatori e gli scienziati toscani che comincia l’ascesa. List è destinata poi a ricomparire nella storia dell’ex trader lo scorso anno, quando è stata comprata da Ion. E anche il legame con Pisa e le sue università, compresa la Normale e la Scuola superiore S. Anna, da cui Pignataro ha reclutato diversi collaboratori, resiste ancora oggi. In quegli anni l’imprenditore sviluppa software per Sia, l’azienda dei servizi tecnologici delle banche, e per Mts, il mercato dove si scambiano i titoli di Stato italiani (oggi nell’orbita di Euronext, cui fanno capo le Borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Milano). In sostanza fornisce i programmi che servono per collegarsi alla piattaforma di trading dove si comprano e vendono i Btp. Ma soprattutto sfrutta la decisione di Mts di aprire il suo sistema a tutti gli operatori.
LE ACQUISIZIONI
Mts in quegli anni è guidata dal professor Giorgio Basevi, un economista dell’università di Bologna, vecchia conoscenza di Pignataro, che era stato suo brillante allievo all’università. La società decide di non avere un sistema di sua proprietà ma di dare a tutti la possibilità di sviluppare un proprio software per partecipare agli scambi, una sorta di bocchettone con cui attaccarsi al mercato e sottoscrivere le obbligazioni emesse dallo Stato. Per il finanziere, che nel frattempo si è messo in proprio e ha fondato Ion, è una svolta. Lui è il più rapido a capire l’opportunità e il più bravo a sviluppare i sistemi di connettività che consentono di operare sul mercato. E di sfruttare la potenza e la velocità dei computer. Da allora a colpi di acquisizioni – se ne contano più di venti in due decenni – ha costruito un colosso da circa 2 miliardi di dollari di fatturato, un margine operativo lordo di 1,4 miliardi e oltre 7.500 dipendenti attivi in 50 Paesi. Anche i debiti sono alti, circa 6,6 miliardi, e destinati a gonfiarsi ancor più con le ultime operazioni annunciate che verranno finanziate prevalentemente a leva, come quelle precedenti. In verità, il forte indebitamento ha sollevato qualche dubbio sul conglomerato dell’imprenditore italiano che vive fra la casa londinese di Belgravia e quella di San Siro a Milano. Il gruppo è organizzato su tre divisioni parallele, non ha un bilancio consolidato e non è quotato. Le continue acquisizioni, le frequenti riorganizzazioni delle attività e la decisione di privilegiare il pagamento dei dividendi sull’abbattimento dell’esposizione hanno quindi reso inquieto qualche creditore. Fino al punto che qualche istituto con cui era esposto, ha riferito tempo fa il Financial Times, ha smesso di prestargli soldi. Di sicuro Ion nel frattempo ha continuato a ingrandirsi: ciò significa che il credito Per Pignataro non è mai stato davvero un problema. Sicché fra un’acquisizione e l’altra un paio di anni fa ha comprato anche la Macron, azienda bolognese che produce abbigliamento sportivo e soprattutto maglie per le squadre di calcio (sponsorizza anche la Lazio). Poi nelle ultime settimane l’avvio della campagna d’Italia, per crescere ancora e rafforzarsi nel software e nell’analisi dei dati, i pilastri della sua attività. Quanto vale oggi Pignataro? C’è chi favoleggia di 20 miliardi e oltre; e chi, più prudente, oscilla tra 5 e 10 miliardi. Una cosa è certa: il giovanotto che durante un esame di matematica stupì per preparazione e rapidità di pensiero Francesco Giavazzi che lo interrogava, oggi incarna il prototipo del più classico self-made man che ha costruito la sua fortuna puntando sugli insegnamenti assimilati nelle aule dell’università.