Il dubbio sarebbe pure lecito. Non è, ci si potrebbe domandare, che siamo nel prequel del film Matrix?
Dove a un certo punto l’intelligenza artificiale e i robot risolvono il problema della immensa fame energetica necessaria alla loro sopravvivenza utilizzando gli esseri umani come pile viventi? Letteratura fantascientifica, certo. Però il problema del consumo abnorme di elettricità per permettere all’infrastruttura digitale che si cela dietro i motori di ricerca e l’intelligenza artificiale, soprattutto quella generativa, già esiste. Ed esiste oggi.
PREVISIONI
I dati indicano che già oggi l’IA consuma il 2 per cento dell'energia mondiale e presto raddoppierà: qualcuno ipotizza che si possa arrivare a una percentuale tra il 6 e l’8 per cento. Altri analisti indicano che serviranno circa 160 Terawattora di elettricità aggiuntiva entro il 2026. Ma questo è il fabbisogno minimo perché si potrebbe arrivare a 590 Terawattora. Insomma, sarebbe come aggiungere a quelli globali i consumi di una Svezia, come minimo, o di una Germania, come massimo. Il punto però, è anche un altro. Le classiche energie rinnovabili, sole e vento, su cui pure massicciamente si sta investendo, non possono risolvere il problema della fame di energia di Big Tech. Per far funzionare i loro data center, hanno bisogno di energia per 8.600 ore all’anno mentre le rinnovabili gliene possono fornire meno della metà e quindi avrebbero bisogno di un volume spropositato di batterie. Un non senso in termini ambientali ed economici.
Come spesso accade, però, il mercato ha trovato la soluzione prima ancora di qualsiasi scelta politica. Anzi, andando anche in controtendenza rispetto alle “sensibilità” di più di un Paese. La soluzione è il nucleare. Da Google a Microsoft fino ad Amazon, le multinazionali americane del web, si stanno muovendo in modo coordinato per utilizzare l’atomo. Una conferma che la rivoluzione energetica diventerà sempre più capital intensive, con investimenti da 9 trilioni di dollari l’anno da ora al 2030 (30% del settore pubblico, 70% di quello privato, secondo i dati pubblicati dal Financial Times).
Ma perché questa scelta? Il nucleare è l’unica fonte che può garantire tutta l’energia necessaria mantenendo un profilo green o quasi. L’atomo non emette CO2 e Big Tech ci tiene a poter dire di essere a emissioni zero. Non tutti i reattori nucleari però sono uguali. E non tutti vanno bene. I server che alimentano l’IA, hanno bisogno di una energia “distribuita” e non concentrata. Un tipo di energia che può essere garantita solo dagli “Small modular reactor”, i piccoli reattori di nuova generazione ai quali molte società del settore stanno lavorando. L’energia richiesta dall’IA prevede anche sforzi finanziari collegati. Microsoft ha ammesso che le sue emissioni stanno aumentando a causa dell’intelligenza artificiale.
Ma un fatto è indiscutibile. Dopo una crisi di consenso dovuta ai disastri di Chernobyl e Fukushima il nucleare sta ritrovando estimatori e non solo fra le Big Tech. A sorpresa anche Greta Thunberg nel 2022, in piena crisi energetica dovuta alla guerra russo-ucraina, è intervenuta nel dibattito tedesco sull’energia nucleare dichiarando che sarebbe stato un errore chiudere le centrali. Nello stesso report redatto dall’ex presidente della Bce e del Consiglio italiano, Mario Draghi, viene evidenziata la necessità di sfruttare tutte le soluzioni disponibili, anche il nucleare, per puntare sulla rivoluzione tecnologica, digitale ed energetica come pietra di volta per orientare gli sforzi europei a colmare il divario con Stati Uniti e Cina in materia di innovazione.
CENTRALITÀ
E l’Italia? Al di là della crescita tumultuosa del suo mercato dell’intelligenza artificiale, che ha toccato quasi 800 milioni di euro, il Paese ha conquistato una centralità e un interesse crescente delle Big Tech internazionali: a partire dai progetti di insediamento di data center di Microsoft fino ai vari progetti di Elon Musk. Perché? La principale ragione è la sua posizione strategica nella geopolitica delle reti di telecomunicazione, che la vede in prima fila, con Sparkle, controllata Telecom (ma in procinto di essere “pubblicizzata” con il passaggio al ministero del Tesoro), nella gestione di una rete proprietaria in fibra che si estende per oltre 600.000 km attraverso Europa, Africa, America e Asia e con la Sicilia come terminale. Nello specifico, a Mazara del Vallo, ormai uno dei principali hub per la trasmissione dei dati con cavi sottomarini grazie a Medusa, un’infrastruttura che collegherà Marocco, Portogallo, Spagna, Francia, Algeria, Tunisia, Italia, Grecia, Cipro ed Egitto.
Ma l’Italia sconta, rispetto ai progetti di investimento, il nodo storico del costo dell’energia elettrica superiore a quello di tutti i partner continentali. A settembre il prezzo era di circa 116 euro al Megawattora, il doppio di quello francese fermo a 51 euro. Ma superiore del 33% anche a quello della Germania (78,31 euro). Per questo anche in Italia il dibattito sull’atomo si è di nuovo acceso, e la “soluzione nucleare” è stata ufficialmente inserita nei documenti del governo. Senza, sarà difficile attrarre i miliardi di investimenti necessari per costruire le infrastrutture digitali che permettano l’espansione dell’intelligenza artificiale e dei suoi strumenti di processo, come i data center, indispensabili per soddisfare la domanda di prodotti. Un’operazione che richiede materiali come acciaio, cemento, gomma-plastiche, e tanti altri prodotti ad alta intensità di carbonio. Questa prospettiva giustifica l’euforia alla recente conferenza Ceraweek organizzata da S&P Global, evento d'eccellenza annuale sull'energia, che si è tenuta a Houston nel marzo scorso. Il claim era la «Transizione energetica multidimensionale», con al centro del dibattito le potenzialità dell'Intelligenza artificiale a partire dalla sua capacità di innovare il settore degli idrocarburi – dall’esplorazione, alla perforazione e fino al pompaggio – e, cosa più importante per il settore, di creare una nuova potente fonte di domanda. Un piccolo paradosso se si vuole che dimostra, ancora una volta, come il Re petrolio sia così difficile da spodestare.