Una mattinata con Gianpietro Benedetti è un viaggio nella storia della manifattura italiana.
Quella che ha reso grande il nostro Paese con la capacità di inventare, creare, superare gli ostacoli. Il presidente del Gruppo Danieli, leader a livello mondiale nella produzione di impianti siderurgici con oltre 9mila dipendenti e sede centrale a Buttrio (Udine), appartiene a una generazione che non conosceva confini già quando la globalizzazione non era ancora stata inventata ed è refrattaria a quella che senza veli chiama «retorica ideologica».
A quale ideologia si riferisce?
«A quella che dichiara di agire “in nome e per conto del popolo”. È sempre viva anche se cambia vestito. L’ho incontrata in varie parti del mondo: in Urss, nella Cina di Mao, nella Cuba di Fidel… È quella che porta il sistema italiano a essere ostile al manifatturiero. È la retorica ideologica del “green”, per esempio».
Ma il tema della salvaguardia ambientale è reale.
«Certo che sì. Ma chi paga? Tutti raccontano un sacco di frottole: “siamo green”, e mettono l’impiantino di idrogeno casalingo. Ma per produrre idrogeno serve tanta energia, sarà appetibile quando il rendimento passerà dal 50% all’85%. Ci arriveremo entro 3-5 anni, e consumerà comunque un’enormità di acqua».
Qual è quindi la soluzione per un settore “energivoro” come l’acciaio?
«Con l’innovazione del direct rolling abbiamo eliminato il forno di riscaldo a gas che è la fonte principale di CO2. Noi andiamo direttamente senza forno di riscaldo nel laminatoio della colata continua. Sono le tecnologie che vendiamo ovunque».
Gli ultimi impianti li avete venduti in Thailandia, India e Bangladesh: sono Paesi così sensibili all’ambiente?
«È proprio questo il punto: non li abbiamo sviluppati con l’obiettivo di competere nel green steel. Quella è una conseguenza naturale: perché quando si abbassano i costi di trasformazione, automaticamente si diventa più “verdi”. È una convenienza. E in più è trendy. Molte scelte invece sono prese per “darla a intendere”».
Che cosa significa “digitale” in un’acciaieria?
«Significa che puoi produrre “on demand”, senza magazzino e con tempi rapidi. Entro primavera nella nostra acciaieria ABS sarà pronto un impianto in cui il programma setta il processo per fare il prodotto finito al minor costo, cominciando dalla materia prima e tutti i parametri del processo lungo tutto l’impianto».
Come valuta le scelte del governo in materia di politica industriale per il settore dell’acciaio?
«Qualsiasi governo deve fare i conti con 2.850 miliardi di debito accumulati in modo maldestro negli ultimi 40 anni. Ma in Italia il manifatturiero è stato trascurato. Preoccupa molto la morìa di medie aziende che anche qui in Friuli vengono vendute ai fondi. Brutto segno».
La Russia per voi era un grande mercato. Adesso?
«Zero, di punto in bianco. C’era una commessa da 300 milioni con gli ucraini di Metinvest per l’acciaieria Azovstal, quella rasa al suolo, ed è saltato anche quell’ordine».
Ma con gli ucraini i discorsi sono andati avanti.
«Sì. Anche Zelenski ha parlato con Meloni di questo progetto per fare una acciaieria di Metinvest in un luogo dove ci sia uno sbocco di mercato ragionevole».
E hanno pensato all’Italia.
«Hanno guardato anche alla Bulgaria, ma è defilata. Questo impianto in Italia potrebbe essere una pietra miliare per la ricostruzione dell’Ucraina».
Qual è la situazione?
«Metinvest ha deciso di fare l’impianto solo un mese fa: e a oggi non ha ancora deciso dove. Nel frattempo da un anno in Friuli, dove nell’area industriale di San Giorgio di Nogaro c’è una delle aree ideali per ospitare questa acciaieria supermoderna e a impatto “zero”, è iniziato un “bombardamento” ideologico preventivo che non è partito dalla gente, ma da un gruppetto che ha organizzato assemblee pubbliche in cui hanno raccontato un sacco di frottole».
Perché frottole?
«Perché non avevano nessun dato. Li abbiamo noi solo adesso. Alcuni politici locali sono saliti sul carro».
Di che tipo di impianto si tratta?
«Si chiama “Digital Green Steel Project” e utilizzerà il Digimelter, un forno elettrico a controllo digitale con un design completamente sigillato, controllato direttamente dal sistema Q-One che ottimizza consumi e impatti sulla rete elettrica, alimentabile anche con risorse rinnovabili. Le tecnologie consentono emissioni di CO2 tra i 95 e i 130 kg per tonnellata di acciaio prodotto».
E quanto deve produrre un impianto “virtuoso”?
«Non più di 283 kg di CO2. Secondo le norme europee sotto i 200 kg è a “impatto zero” ovvero l’impianto ambientalmente “non esiste”. Non ha camini, è a ciclo chiuso, non scarica acqua come le altre acciaierie. Fumi? Zero. Le emissioni sono inserite in un condotto sigillato e filtrato».
Esistono già impianti così?
«Ne abbiamo installato uno negli Usa. E in Olanda lo installeremo in un’acciaieria che si trova all’interno di un’oasi naturalistica. Con l’ok e l’apprezzamento del WWF…».
Ma in Friuli alcuni giorni fa la Regione ha fatto sapere che in quell’area industriale “è opportuno prediligere altre tipologie di intervento”.
«Con Metinvest avevamo fin da subito deciso di valutare tre possibili localizzazioni per il Digital Green Steel Project. Puntare su un unico sito sarebbe stato un errore. Certo, la scelta di Porto Nogaro avrebbe potuto mantenere in Friuli, regione alla quale siamo profondamente legati, i benefici economici del progetto. Ora la nostra attenzione è su un altro sito sempre sul territorio nazionale e una terza possibilità è in un altro Paese europeo».
Deluso?
«Avere un impianto ultramoderno a 40 chilometri dalla nostra sede con questa tecnologia al top sarebbe stato un plus per Danieli, e avrebbe rappresentato il 16% del Pil del Friuli e l’8% del Pil regionale; sarebbe stato un orgoglio “patriottico” in una regione carente nel manifatturiero. Se il manifatturiero non produce, non si crea Pil. E con un Pil risicato si riducono le risorse per il welfare, ovvero per scuola, pensioni, natalità, sanità. Probabilmente è stato sottovalutato l’impatto positivo che 2 miliardi di investimento avrebbero in regione per medie e piccole imprese, e una volta che lo stabilimento è in funzione i servizi esterni significano almeno altri 900 posti di lavoro. Alla fine per noi cambia poco. Ma conferma l’esistenza di quella “retorica ideologica” di cui parlavamo. La vitalità dei fornitori e subfornitori italiani è la nostra forza: ma a forza di colpire il cavallo che tira…».
Quale sarà il prossimo passo per l'alimentazione “pulita” delle acciaierie?
«Si farà strada le mini centrali nucleari modulari di ultima generazione, ispirate a quelle in uso da decenni su navi e sommergibili. Se ne mettono di analoghe in serie, quante ne servono a produrre l'energia necessaria. Con impatto nullo anche dal punto di vista del rischio in caso estremo di incidente. Ne stanno realizzando una entro l'anno. In Romania…".