In tredici mesi voleva riorganizzare alla radice Unicredit: la strada è pienamente imboccata. Ed era consapevole di essere atteso al varco di Mps, ma non con quell’esito imprevedibile.
Ha poi provato il merger su Banco Bpm, saltato per una fuga di notizie all’ultimo. Poco prima aveva anche sondato l’ipotesi Commerzbank, poi abbandonata. Il primo bilancio di Andrea Orcel è però indubbiamente positivo: basti dire che il titolo ha guadagnato il 28% (6,5% la crescita media degli altri istituti) con un aumento di valore di 4,7 miliardi. Banchiere di profilo internazionale e protagonista di importanti merger finanziari, figura atletica, Orcel è decisamente mattiniero e non rinuncia quasi mai a un’intensa attività fisica sulla terrazza della sua casa milanese. Nel suo ufficio al 28° piano del grattacielo di piazza Gae Aulenti, dove è stata predisposta una scrivania a stantuffo per assecondare la sua abitudine di lavorare eretto, spiccano un lupo di granito a grandezza naturale e una foto: ritrae un sorridente Alessandro Profumo. Più volte, durante l’intervista a MoltoEconomia, avvenuta pochi giorni prima della lettura delle Considerazioni Finali da parte del governatore Ignazio Visco, si volge a guardarla, forse a ricordare all’ospite che insieme hanno progettato la prima versione di Unicredit.
Orcel, partiamo da lontano. Sebbene la situazione in Ucraina appaia meno esasperata rispetto ai primi mesi, c’è chi azzarda la possibilità di un violento colpo di coda di Putin. Se questi sono i timori, non sarebbe il caso di erigere uno scudo europeo, ovvero un’azione coordinata fra Bce, Unione e governi?
«Lo trovo ragionevole. Se il conflitto in Ucraina si dovesse inasprire o le forniture di energia dalla Russia venissero interrotte, le prospettive di crescita cadrebbero pesantemente e potremmo avere sì bisogno dello scudo che lei prefigura».
Come dovrebbe essere concepito?
«Misure fiscali tempestive e consistenti per proteggere le industrie ad alta intensità energetica e le famiglie più vulnerabili da ulteriori aumenti dei costi energetici e alimentari. Non siamo però a quel punto. Lo scenario di base previsto da Unicredit stima una crescita più lenta ma positiva in Europa, in una fase in cui la Bce sta adottando una politica restrittiva per tenere sotto controllo le aspettative d’inflazione e prevenirne gli effetti a lungo termine. Sono convinto che, per ora, le politiche fiscali nazionali siano sufficienti».
L’inflazione morde, il Pil decelera: difficile agire con efficacia su due forze uguali e contrarie. Non crede?
«Non vi è dubbio che la situazione attuale rende più complicato il lavoro della Bce e dei governi. Quanto alla Bce, deve trovare un equilibrio davvero non facile, perché da una parte l’inflazione è in gran parte importata, dall’altra non si vede ancora un’accelerazione significativa della crescita dei salari. Si tratta di un quadro molto diverso da quello affrontato dalla Fed negli Stati Uniti, dove la direzione di marcia è molto chiara».
E come dovrebbero agire i governi?
«Anche i governi si trovano in una posizione difficile. Alcuni vorrebbero fare di più per alleviare il peso della crisi sulle imprese e sulle famiglie più vulnerabili, ma sono condizionati dall’aumento dei tassi. Prendiamo l’Italia: da quando la Bce ha segnalato l’intenzione di aumentare i tassi di interesse, il governo, per sostenere l’economia, ha adottato principalmente misure neutre dal punto di vista del bilancio».
La Bce quasi certamente il 21 luglio avvierà la manovra sui tassi per contrastare l’inflazione, ma ciò si trasformerà in un ulteriore freno per la crescita. Non sarebbe più saggio aspettare l’autunno?
«La Bce è stata piuttosto coerente nell’indicare un aumento dei tassi a partire da luglio, con i mercati che prevedono almeno tre rialzi di 25 punti entro fine anno. Questo sarebbe stato impensabile solo pochi mesi fa. Ma ora il percorso mi sembra segnato».
Però l’ultima volta che Francoforte ha manovrato al rialzo, a cavallo dello scorso decennio, non è finita bene.
«Per una banca centrale una delle principali complessità è intervenire sui tassi quando l’economia sta rallentando. Ed è vero che l’ultima volta non è finita bene per l’economia e per i mercati. Per questo la banca centrale dovrebbe agire con cautela: il momento è particolarmente delicato. Il rialzo dei tassi di mercato da inizio d’anno è stato ampio e veloce, come mai negli ultimi due decenni. Allo stesso tempo, le condizioni finanziarie generali si sono inasprite per il calo delle quotazioni azionarie, dell’ampliamento degli spread creditizi e dell’aumento della volatilità. Abbiamo anche assistito a un allargamento degli spread sovrani, il che comporta un maggiore rischio di frammentazione finanziaria».
Ma la Bce dovrà comunque impedire che l’inflazione alta metta radici profonde.
«Sicuro, ma dovrà trovare il giusto bilanciamento tra controllo dell’inflazione e crescita. E dato che l’inflazione in Europa è dovuta anzitutto a fattori esterni, l’anno prossimo rallenterà in modo sostanziale. Per questo penso che la Bce non avrà bisogno di aumentare i tassi in modo aggressivo».
Va anche detto che c’è ancora molta incertezza sulle implicazioni della pandemia e del conflitto in Ucraina sull’inflazione. Fin dove può arrivare?
«Nell’Eurozona abbiamo assistito a nulla di paragonabile al fenomeno di dimissioni di massa in corso negli Stati Uniti, che sta alimentando la crescita dei salari a causa della mancanza di manodopera disponibile. D’altro canto, è probabile che presto le strategie di supply chain e la gestione delle scorte, così come la transizione verde, diventino fenomeni globali. Alla luce di ciò, è ragionevole aspettarsi nuovi rialzi dell’inflazione, ma non è ancora chiaro di quale entità».
Oltre alle decisioni monetarie, non crede che servirebbe un’azione politica più determinata da parte dell’Europa, per arrivare a un cessate il fuoco duraturo?
«Ne sono convinto. Solo una soluzione duratura consentirà di salvare vite umane ed evitare ulteriori danni economici. Il mondo avrà un assetto diverso dopo questa crisi. Se c’è un aspetto positivo che possiamo dire sia emerso dall’esperienza del conflitto tra Russia e Ucraina, è che l’Europa si è mossa all’unisono, quantomeno all’inizio. L’unità è fonte di forza. È per questo che ritengo che le banche abbiano un ruolo vitale da svolgere in tutto il continente europeo».
Quale ruolo in particolare?
«Forniscono alle comunità in cui operano le leve per rafforzarsi, con l’effetto combinato di elevare tutta l’Europa. Questo vale in particolare per una banca come Unicredit, che è stata costruita con la visione di essere una banca per l’Europa».
L’aumento dei tassi favorisce la banche che così possono riprendere ad alimentare il margine di interesse, non crede che ciò possa scoraggiare la richiesta di finanziamenti e far ripartire i crediti deteriorati?
«Le banche hanno l’importante ruolo di trasmettere la politica della Bce alle imprese e alle famiglie. Se, come mi aspetto, la Bce procederà a inasprimenti graduali, l’impatto sarà gestibile e la crescita continuerà. Del resto, partiamo da un livello molto basso ed è quindi normale che la bussola venga riorientata. Ciò che conta è fare tutto il necessario per evitare una recessione».
Cosa stanno facendo le banche per famiglie e imprese?
«Ho sempre creduto che le banche abbiano una funzione sociale che va al di là del puro sostegno finanziario, che pure nel caso di Unicredit è particolarmente significativo. Cito qualche numero: 30 miliardi di nuove erogazioni nel 2021 in Italia, 8 miliardi dati nel 1° trimestre 2022, moratorie a beneficio dei clienti in difficoltà post pandemia, oltre 29 miliardi di prestiti emessi con garanzia dello Stato sottoscritti da inizio Covid».
Unicredit è presente in 13 Paesi. Vale la pena allargarsi tanto? Non si rischia di disperdere le forze, così esposti agli eventi locali?
«Ogni mercato ha le sue differenze culturali, dimensioni diverse e una diversa base clienti. In Italia, ad esempio, dove sono le nostre radici, siamo particolarmente forti nel retail e nel supporto alle pmi, in Germania siamo più orientati verso il corporate e in Croazia abbiamo le quote di mercato più alte in tutti i segmenti. Ciò che accomuna tutte le nostre banche è avere una posizione di leadership nel proprio mercato. Ma la chiave per noi ora, per liberare il nostro vero potenziale, è riunire tutti queste banche leader in un’unica Unicredit».
A proposito di estero, avete ricevuto offerte da soggetti russi per rilevare Unicredit Bank di Mosca. A che punto siete?
«Preferiamo parlare quando c’è qualcosa di concreto da annunciare. La situazione in Russia è complicata, come dimostrano le difficoltà di dare seguito ai numerosi annunci di disimpegno cui abbiamo assistito in queste settimane, perché il processo è molto più complicato di quanto si pensi. Noi stiamo valutando tutte le opzioni per cercare la soluzione giusta tenendo conto di un quadro sanzionatorio in continua evoluzione. Allo stesso modo, non vogliamo che la situazione in Russia metta in ombra ciò che stiamo facendo nel resto della banca. Il 95% delle nostre attività è al di fuori della Russia e sta funzionando a pieno ritmo».
Sul risiko bancario lei ha più volte ribadito che può servire come acceleratore di valore. Quali sono i target giusti per Unicredit?
«Confermo che l’M&A può essere un acceleratore, ma solo se realizzato alle giuste condizioni. Non è uno scopo in sé, quindi, pur essendo uno strumento prezioso nella cassetta degli attrezzi di ogni capo azienda, non dovrebbe essere usato nelle condizioni sbagliate. Per noi, il vero valore di Unicredit si trova all’interno. Se si presenterà l’opportunità giusta per tutti, la prenderemo in considerazione. Ma allo stesso modo, laddove una opportunità si rivelasse inadatta, l’abbandoneremo con altrettanta facilità».
Ne abbiamo avuto prova in occasione della trattativa su Mps. Può spiegare la ratio dei colloqui con Commerzbank e dell’ipotizzata Opa su Banco Bpm?
«Ripeto: l’M&A può essere un acceleratore della nostra strategia solo alle giuste condizioni e che sia capace di creare valore per tutti. Soprattutto, dovremo essere convinti di poterlo realizzare in modo efficace».