Il modo migliore per contrastare un’emergenza è prevenirla.
È un pensiero scontato, certo, ma ora che la guerra russo-ucraina ha fatto emergere le debolezze del sistema energetico italiano ed europeo, riformulando le priorità di imprese e cittadini, si deve ammettere che sulle forniture di gas non abbiamo compiuto le scelte alla nostra portata per renderci maggiormente indipendenti dalla Russia, quando c’è stata l’occasione. La stessa riflessione deve averla fatta il premier Mario Draghi perché nel suo intervento alla camera di venerdì 25 febbraio ha riconosciuto che «le vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni». La dipendenza energetica dalla Russia è l’eredità di 10 anni di confusione organizzata che ha visto le scorte di gas raggiungere livelli minimi: e ora il tema della sicurezza nazionale è quello che preoccupa maggiormente, più della pandemia e più della difesa dell’ambiente. Non esiste una soluzione unica per risolvere l’impasse, ma sicuramente ce n’è una che “pesa” maggiormente: sfruttare i giacimenti di gas naturale disponibili nei nostri mari. Lo ha sintetizzato bene Franco Bernabé in un’intervista a Il Messaggero, «il Mediterraneo è pieno di gas. Bisogna solo trovare il modo per estrarlo in alcuni casi e per trasportarlo in altri, perché le infrastrutture sono insufficienti».
LA MAPPA DEL TESORO
Il Mediterraneo, dunque, è pieno di gas, ma dov’è? Proviamo a costruire una mappa. Cominciamo dall’Italia, che secondo le stime ha a disposizione nel Nord Adriatico, per fornire un riferimento geografico più preciso la zona a nord di Goro (a est di Ferrara), almeno dai 50 ai 70 miliardi di metri cubi di gas in vari giacimenti già scoperti e mappati negli anni ‘90 dall’allora Agip. Si tratta di giacimenti mai messi in produzione: la maggior parte si trova a più di 12 miglia di distanza dalla linea di costa, altri tra le 10 e le 12 miglia, una distanza tale quindi che non dovrebbe ingenerare rischi di subsidenza. E vale precisare che è stato dimostrato come la subsidenza del Polesine sia da attribuire all’estrazione di acque metanifere da depositi geologici superficiali, quindi in un contesto geologico e geografico diverso. Sui tempi è presto detto: se si riuscisse a velocizzare l’iter autorizzativo e la fase progettuale l’estrazione di gas potrebbe iniziare fra 18 mesi. Le stime parlano di un contributo decisivo del Nord Adriatico per raggiungere un possibile raddoppio della produzione nazionale, nell’ordine del 7-8 miliardi di metri cubi l’anno, con una “vita” del giacimento di almeno 15 anni.
Dal punto di vista operativo, nel suo piano di investimenti del 2018 Eni aveva già previsto una cifra superiore ai 2 miliardi di euro che prevede processi di ricerca e sviluppo per mantenere la produzione dai 3 ai 4 miliardi di metri cubi l’anno, avvio del percorso di decommissioning e di reprocessing 3D su 10.000 chilometri quadrati dell’Adriatico. In questo caso ci riferiamo all’area geografica marina sotto la linea di riferimento di Goro. E il Cane a sei zampe si è dotato da tempo di tecnologie all’avanguardia per l’esplorazione dei pozzi di gas, come il centro di supercalcolo Green data center, che opera a Ferrera Erbognone vicino a Pavia, con cui ha scoperto il megagiacimento di Zohr in Egitto. Lo sfruttamento del gas dell’Adriatico sarebbe un elemento in più rispetto al recente decreto energia con cui il governo intende sbloccare le estrazioni in Italia. Ma la disponibilità di gas italiano non è limitata all’Adriatico: nel canale di Sicilia Eni ha a disposizione i giacimenti Argo e Cassiopea, citati non a caso nel recente decreto energia: stiamo parlando di circa 15 miliardi di metri cubi, che sono già stati oggetto nel 2014 a Gela di un protocollo d’intesa con sindacati e Regione Sicilia. Per andare alla ricerca dei giacimenti di gas sulle rotte del Mediterraneo potremmo partire idealmente da Ravenna, dove nel marzo 2019 all’Offshore Mediterranean Conference Libano, Grecia, Israele, Turchia, Egitto, Cipro hanno presentato i loro piani futuri e successivamente lanciato gare per l’assegnazione di blocchi offshore – a giugno 2019, tutti gli stati costieri del Mediterraneo orientale, Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Libano, Siria, Turchia, avevano industrie offshore di idrocarburi attive con 23.133 chilometri quadrati (quasi il 31 % del totale delle acque offshore della regione) – e sono stati firmati importanti accordi in Libia tra Eni, Bp e Noc e in Algeria tra Eni, Total e Sonatrach. Così, facendo vela da Ravenna e navigando in Adriatico, cambiando sponda, troviamo Ivana e Izabela, i giacimenti della Croazia che si trovano a nord di quelli italiani. Sono attivi da più di vent’anni ed è previsto a breve lo sviluppo anche del campo di Irena, situato a circa 7 km a nord di Izabela. Anche la Grecia è molto dinamica nello sfruttamento dei campi presenti nella zona adriatica-ionica e, allo stesso tempo, è anche interessata allo sviluppo dell’attività a Cipro, per l’esattezza nel campo di Afrodite, per il quale si stima una riserva di circa 130 miliardi di metri cubi di gas.
IL GIGANTE ZOHR
Restando in zona mediorientale, anche Israele dispone di campi di gas naturale di grande portata, a cominciare dal Leviathan, scoperto nel 2010, che ha una capacità stimata di 500 miliardi di metri cubi. Ma il giacimento più grande del Mediterraneo è anche quello più vicino all’Italia: quello egiziano di Zohr, che con i suoi 850 miliardi di metri cubi è considerato il gigante dei campi di estrazione. Infine, sempre a un passo dalle nostre coste, Libia e Algeria nei propri mari e a terra custodiscono ingenti quantità di gas naturale: l’Algeria è all’11° posto del mondo per riserve con una stima di 159 miliardi di metri cubi mentre la Libia ne ha a disposizione 53 miliardi. In questo caso le cifre vanno prese con il beneficio d’inventario – stiamo parlando di stime: in questi quarant’anni di esperienza le produzioni reali sono sempre state superiori alle previsioni e le quantità possono variare a seconda del tasso di produzione, delle tecnologie utilizzate e dagli investimenti erogati- perché questi Paesi sono restii a condividere le informazioni. L’Algeria con il Transmed ci rifornisce di quasi il 30% del nostro fabbisogno, mentre per la Libia la quantità è di poco vicina al 5%. Esiste quindi una grande disponibilità di gas: quello che manca, in particolare per l’area dell’East-Med, sono le infrastrutture per trasportarlo. E se parliamo di rigassificatori per il Gnl, quelli in funzione oggi in Italia, a Rovigo Panigaglia e Livorno, sarebbero insufficienti. Sempre nel Mediterraneo la Spagna ha strutture di rigassificazione più capaci ma già impegnate per l’uso interno. È ovvio che i tempi dell’emergenza sono per definizione stretti, ma se non ci si attarda a discutere in termini di principi si potrebbe arrivare a creare un network alternativo all’approvvigionamento dalla Russia. Non dimentichiamo che l’Italia ha una briscola forte da giocare, l’Eni. Una costante del Mediterraneo è proprio la sua operatività e affidabilità storica in molte situazioni, insieme ad altre imprese nazionali che assicurano i servizi tecnologici, cioè le nostre multinazionali tascabili dell’offshore che sono apprezzate a tutte le latitudini. Draghi ha ricordato che è tempo di puntare sul sostegno all’economia reale, perché stiamo camminando su un piano inclinato pericoloso. Non siamo in grado di controllare il prezzo dell’energia e non possiamo pretendere che una complessità come la transizione energetica si realizzi grazie a soluzioni semplici e in poco tempo. Dobbiamo imparare la lezione e procedere pragmaticamente: il primo passo è andare a procurarci il gas dove lo si produce. A partire dall’Adriatico.
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