Un tempo era tutto campagna, spiagge dorate e mare cristallino. L’incipit nostalgico, da Arcadia perduta e violata dallo sviluppo, va troncato sul nascere. Perché la realtà è testarda e ha smentito timori e funeste previsioni: campagna, spiagge dorate e mare cristallino sono ancora lì, a calamitare bagnanti e turisti. Il gasdotto Tap, sottoterra, nel frattempo inietta nella rete italiana 20 milioni di metri cubi di metano al giorno, pescato dall’Azerbaijan e poi trasportato per 870 chilometri fino a San Foca, nel Salento, cerniera del Mediterraneo. Ma non ditelo – o forse sì: ditelo – a chi posa «ombrelloni e teli sopra il tubo», nello spicchio di spiaggia libera tra i lidi San Basilio ed Enso: il virgolettato è una doverosa citazione di Barbara Lezzi, la senatrice ex cinque stelle, ex ministra ed ex pasionaria della resistenza “no Tap”. Provò a mettersi alla testa del fronte barricadero, sottobraccio ad Alessandro Di Battista promise «lo stop al gasdotto» col M5s di governo e non solo di lotta, chiedendosi chi mai avrebbe «poggiato il telo sopra il tubo». La risposta è nei fatti. E intanto il variopinto muro anti-Tap si è progressivamente sfaldato: c’erano comitati spontanei e amministratori locali, parlamentari (o aspiranti tali) in cerca di legittimazione territoriale e opinion maker, c’era chi protestava per intima convinzione o per opportunità o ancora per appigliarsi a una qualche battaglia identitaria, adesso solo silenzi, o magari adesioni a un governo che crede fermamente nel “gasdotto strategico”. Come del resto tutti gli altri che l’hanno preceduto, che fossero a guida Pd o Cinque stelle, con la destra o senza.
L’EVOLUZIONE
Il Tap è il paradigma di un’epoca, sotto tanti aspetti. Nel frattempo, proprio quel segmento di costa nelle settimane scorse è tornato a issare la Bandiera blu, il più importante riconoscimento per le località marittime. A San Basilio, del resto, l’imbocco a mare del gasdotto è invisibile: il tubo è incamiciato in un microtunnel da 1,5 chilometri, e si innerva poi per 8 chilometri tra le campagne, fino al terminale di ricezione nei pressi di Masseria del Capitano. Sono questi i luoghi della contraddizione più stridente, dello strappo da ricucire: il nastro va riavvolto al 2017, ai mesi degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine nel segno degli ulivi, temporaneamente estirpati per consentire i lavori. Gli alberi nelle scorse settimane sono tornati al loro posto: da emblema di lotta a parte di un tutto, almeno per Tap. Sono un capitolo del secondo tempo dopo l’apertura del rubinetto, tra il tentativo di dialogo col territorio, le attività di ripristino dei luoghi, la riconsegna dei terreni ai circa 200 legittimi proprietari. In tutto 828 ulivi, dopo il soggiorno nei canopy a Masseria del Capitano, sono ora nella loro particella originaria georeferenziata; altre 930 giovani piante di specie resistenti alla xylella sono state messe a dimora ex novo, per sostituire alberi sterminati dal batterio. Perché in questa storia c’è anche il gioco di specchi, tra percepito e contraddizioni: il flagello è stato la xylella, che ha devastato per davvero il paesaggio salentino, sfregiando identità paesaggistica e produttiva. Proprio gli alberi dell’area del microtunnel a San Basilio – spiegano i tecnici Tap – sono stati i primi ad essere espiantati, sono stati gli ultimi a tornare a casa, e sono quelli che meglio di tutti si sono conservati, sfuggiti alla tenaglia xylella. Gli ulivi ora tornano a verdeggiare nelle campagne e sono intercalati da paline gialle, che hanno il compito di segnalare la presenza del tubo. Anche i muretti a secco – smontati, catalogati e stoccati – sono stati nuovamente incastrati pezzo dopo pezzo e s’insinuano tra alberi: 120 in tutto, lunghezza media 18 metri.
L’ULTIMO MANTRA
“Ripristino”, l’ultimo mantra per Tap è stato questo. I segni della presenza restano due. Il primo è la valvola di blocco, nell’entroterra a San Basilio: abbracciata da un cancello, segmenta la sezione a mare del gasdotto da quella a terra e consente di isolare un tratto dell’infrastruttura per manutenzione e controlli. L’altro segno visibile è il Prt, il terminale di ricezione: una spianata di 12 ettari recintati, il fulcro operativo del gasdotto. Da qui il gas viene immesso nella rete Snam, fino all’allaccio alla rete nazionale all’altezza di Mesagne-Brindisi. E sempre qui c’è l’edificio a staffa di 3mila metri quadri che ospita la control room. A ridosso del Prt, con scopo di mitigazione visiva e paesaggistica, sono stati piantati 12mila alberi e arbusti, tra cinque anni sarà visibile un’area boschiva di due ettari, fruibile al pubblico con un sentiero dedicato. Il dialogo è il tentativo di sempre. Senza risultati. A tal punto che il territorio salentino sta lasciando correre via pure il treno dei ristori e degli investimenti: almeno 25 milioni messi sul piatto da Tap e Snam, ma il dossier è fermo, perché a Roma cambiano i governi e nel Salento è un balletto di distinguo, di “no”, di divisioni, ultime speranze nel processo penale ai vertici Tap e tensioni per l’altro processo ai manifestanti.
IL FUTURO
Intanto, Tap esplora già nuove strade. Innanzitutto il raddoppio della capacità, da 10 a 20 miliardi di metri cubi annui, e con la stessa infrastruttura. È stata avviata la fase vincolante del market test, «dopo quattro mesi e mezzo dall’avvio dei flussi – dice Luca Schieppati, managing director Tap – abbiamo trasportato oltre 2 miliardi di metri cubi di gas e offerto un servizio di trasporto sicuro e affidabile». Peraltro, «i primi 5 mesi di operatività hanno portato effetti positivi anche in termini di riduzione dello spread con il Nord Europa del costo all’ingrosso del gas». E poi c’è l’altro scenario: trasportare anche idrogeno, la principale leva della transizione ecologica. Il futuro dell’Europa passa anche da qui, tra ulivi e teli da mare
. © RIPRODUZIONE RISERVATA