Imu al via con la conferma di alcune esenzioni legate all’emergenza Covid; ma ancora senza la promessa semplificazione della giungla delle aliquote a beneficio dei contribuenti. Entro la tradizionale scadenza del 16 giugno gli italiani dovranno saldare la rata di acconto dell’imposta municipale unica sugli immobili. Sul piano delle regole quest’anno non ci sono particolari novità, dopo la riforma entrata in vigore nel 2020 che ha sostanzialmente riunificato il tributo assorbendo quello parallelo della Tasi: una voce sulla carta legata ai “servizi indivisibili” forniti dai Comuni ma diventata di fatto un’appendice del prelievo patrimoniale.
IL VALORE
La nuova Imu vale complessivamente circa 17 miliardi: il gettito del 2020, già interessato da esenzioni, è risultato inferiore di circa 400 milioni a quello dell’anno precedente. Per la prima rata del 2021 sono esonerate, come previsto già dalla legge di Bilancio, tutte le imprese del settore turismo. Dunque gli immobili che non pagano sono alberghi e pensioni, villaggi turistici, case vacanze, bed and breakfast, agriturismo, campeggi, stabilimenti balneari, discoteche. Ma il decreto Sostegni ha aggiunto a questa lista anche gli immobili dei soggetti destinatari dei contributi a fondo perduto connessi alla crisi Covid. Per non versare il tributo occorrerà quindi rispettare i requisiti previsti per i “ristori” e dunque aver subito un calo del fatturato di almeno il 30 per cento nel 2020 rispetto all’anno precedente, con un volume massimo di ricavi non superiore alla soglia dei dieci milioni. Ormai da alcuni anni l’Imu non si applica sulle abitazioni principali, salvo quelle che appartengono alle categorie catastali A/1, A/8 e A9 (case di lusso, ville e castelli). E restano in vigore anche le altre esenzioni fissate dalla legge, tra cui edifici di culto, immobili degli enti non commerciali destinati ad attività assistenziali, culturali o sportive, terreni agricoli dei coltivatori diretti. Tutti gli altri proprietari dovranno invece effettuare il versamento: paradossalmente sono compresi anche quelli che non hanno la disponibilità degli immobili a causa del blocco degli sfratti che si protrae ormai da marzo dello scorso anno. Si può pagare con F24 in banca o su home banking, con bollettino postale o attraverso la piatta forma PagoPA. Sul fronte delle aliquote, toccherà ancora al contribuente informarsi su quella deliberata dal proprio Comune. Non è infatti operativo il modello precompilato progettato da tempo per semplificare la vita ai cittadini, che ha avuto però a sua volta una gestazione complicata. Un ritardo legato a quello del decreto ministeriale previsto proprio con la riforma ma ancora non emanato, nonostante l’entrata in vigore fosse prevista per il 2021: più precisamente, si tratta del provvedimento che doveva stabilire, limitandone il numero, le tipologie per le quali i Comuni possono diversificare le aliquote. In assenza del testo definitivo, restano in vigore le vecchie norme e la semplificazione è rinviata al 2022.
GLI “ALTRI FABBRICATI”
Per la categoria degli “altri fabbricati”, che comprende ad esempio le abitazioni diverse da quella principale, ma anche i negozi o gli uffici, l’aliquota di base è fissata allo 0,86 per cento, con possibilità per i Comuni di portarla all’1,06% o anche all’1,14% se in precedenza era applicata la maggiorazione della Tasi. Si tratta di una soglia raggiunta di fatto da molte grandi città sulle cosiddette “seconde case”, anche se con eccezioni in base alle situazioni specifiche. Per le abitazioni principali per le quali l’Imu è dovuta (case di lusso, ville e castelli) l’aliquota è fissata allo 0,5% ma può salire fino al 6%, ferma restando l’applicazione di una detrazione di 200 euro. Ci sono poi una serie di agevolazioni: ad esempio la base imponibile è ridotta del 50% per fabbricati di interesse storico oppure inagibili e per le abitazioni concesse in comodato tra genitori e figli. Per le abitazioni locate a canone concordato l’imposta è ridotta del 75%.
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